Rassegna stampa

Frans Timmermans: "Con Biden vinceremo la battaglia per il clima"

26 Jan 2021

“La pandemia in corso ha ricordato a tutti che la nostra salute dipende da quella del pianeta. C’è bisogno di ristabilire equilibro nel nostro rapporto con la natura e l’ambiente”. A dirlo è Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione europea, nonché commissario per il Clima con delega al Green Deal. Un olandese che crede fermamente nella possibilità di una svolta green dell’Europa a partire dall’agricoltura. E nel ruolo centrale che deve avere il Vecchio Continente nella lotta ai cambiamenti climatici. In questa intervista in esclusiva all’HuffPost racconta come intende raggiungere questi obiettivi.
Con l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca si aprono prospettive diverse nella lotta mondiale al cambiamento climatico. Cosa si attende l’Ue dalla nuova amministrazione americana a partire dalla Conferenza Onu sul clima che si terrà nel novembre prossimo a Glasgow, in Scozia?
“Parlerò a breve con John Kerry (inviato speciale del presidente Biden per il cambiamento climatico, n.d.r.), un collega e un amico da tanti anni, per capire come procedere assieme verso il vertice di Glasgow e portare a casa dei risultati. Anche se c’è già molto slancio dopo i passi ambiziosi di Cina, Giappone, Corea del Sud, il lavoro congiunto con gli Stati Uniti assicurerà più forza al processo e maggiori possibilità di ottenere buoni risultati. Il successo di questa conferenza però sarà ancora più grande se ognuno di noi farà i compiti a casa. Dobbiamo arrivare a Glasgow raccontando ciò che stiamo facendo nel campo dell’energia, dell’agricoltura, del trasporto per ridurre le emissioni. Solo così si potrà chiedere agli altri Stati un impegno analogo. John Kerry lo sta facendo anche a casa sua. Assieme avremo un progetto per il mondo”.
L’Ue porterà in dote la legge sul clima che prevede il taglio del 55% delle emissioni entro il 2030 e del 100% entro il 2050. Si poteva fare di più?
“Questo obiettivo nasce da un’analisi molto approfondita. Io credo che il 55% sia un’ambizione realistica. Se andassimo oltre non ce la faremmo, anche perché la grande maggioranza degli Stati membri già trova difficile arrivare a questo obiettivo. Se anche il resto del mondo si impegnerà nella stessa direzione, il 55% dovrebbe consentirci di arrivare a zero emissioni nel 2050”.
Alcuni eurodeputati hanno definito questa legge deludente in quanto nel conteggio è prevista anche la capacità di assorbimento del carbonio da parte delle foreste, rendendo di fatto l’obiettivo meno ambizioso. Altro punto debole è la richiesta di un target vincolante solo a livello di Unione Europea e non anche per ogni singolo Stato. Alcuni potrebbero non ridurre le emissioni: sarebbe un limite…
“Sì, potrebbe essere un limite se ogni Stato membro non ponesse lo stesso sforzo per raggiungere l’obiettivo. Tutti devono fare la loro parte. Se ciò accadrà, e sono convinto che accadrà, avremo la possibilità di arrivare a zero emissioni nel 2050. Per quanto riguarda l’assorbimento del carbonio da parte delle foreste, dobbiamo essere onesti con noi stessi e dire che le nostre foreste sono in un pessimo stato e che occorre migliorare la loro situazione. Anche se nel 2050 ci sarà la neutralità climatica, avremo ancora emissioni che dovranno essere assorbite dalla natura. Questo ci impone di elaborare una strategia per le foreste per essere sicuri che siano in una situazione ottimale”.
Non si può tralasciare il ruolo della politica agricola comune che entrerà in vigore nel 2023. Il mondo dell’agricoltura biologica e ambientalista ha reagito con un secco no all’orientamento su questo tema del Parlamento europeo e del Consiglio AgriFish. Lo giudicano troppo sbilanciato a favore dell’agricoltura intensiva. Non vedono le risorse necessarie per arrivare agli obiettivi indicati dalle strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030: il 50% della riduzione dell’uso di pesticidi chimici di sintesi nei campi, il taglio del 20% dei fertilizzanti di sintesi, la conversione al biologico del 25% della superficie agricola europea.
“È per questo che l’anno scorso ho detto che bisogna capire se la Pac è in linea con il Green Deal. Ma la cosa più importante è che la Pac dovrebbe aiutare gli agricoltori a compiere questa transizione e guadagnarci. La posizione adotta dai ministri degli Stati membri e da alcune parti del Palamento europeo non è sufficiente per arrivare a questo obiettivo. Il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le maggiori minacce anche per gli agricoltori perché sono loro le prime vittime: basta vedere cosa sta già accadendo a causa della siccità, degli incendi boschivi, della perdita di insetti impollinatori e delle malattie di piante e animali. La Pac quindi deve aiutare gli agricoltori che ne hanno bisogno, ma purtroppo in Europa l’80% dei fondi della politica agricola comune va al 20% degli operatori agricoli e questo non è sostenibile. È una situazione che va cambiata ed è questo il mio obiettivo nella negoziazione che sto facendo con il Consiglio dell’Unione Europea e il Parlamento”.
Paolo De Castro, membro della commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, in un tweet ai primi di dicembre ha scritto che la riforma della Pac va fatta con gli agricoltori e non contro. Come risponde?
“Ha ragione De Castro, nel senso che gli agricoltori sono nostri alleati nel fronteggiare la crisi climatica. Ma la Pac non si può fare nemmeno contro l’ambiente. I raccolti non crescono più come prima, le piogge stanno diventando imprevedibili e così via. Per questo molto spesso gli agricoltori si sentono spinti a scale di produzione sempre più intense: hanno paura che, con la transizione verde verso pratiche agricole sostenibili, perdano la possibilità di produrre e di guadagnarsi da vivere. Noi abbiamo un compito molto importante: dimostrare che è possibile fare questa transizione e nello stesso tempo garantire una vita sicura a chi lavora la terra”.
Di grande attualità è anche il tema della difesa del suolo dal degrado. Significa tutelare la biodiversità e migliorare la risposta agli eventi climatici estremi. Non crede che sia urgente un Green Deal europeo per il suolo?
“Assolutamente sì. Io vorrei che i cittadini avessero su questa questione lo stesso senso di urgenza che hanno per la crisi climatica. Noi abbiamo già annunciato un piano per la salute del suolo nella strategia sulla biodiversità. Abbiamo fatto una consultazione pubblica e ora stiamo esaminando le risposte ottenute per preparare una strategia di salvaguardia del suolo. Un suolo in salute ci offre raccolti sani ed è un investimento per la futura sicurezza alimentare. Vogliamo anche portare a zero l’inquinamento ambientale attraverso un piano, previsto per quest’anno, per l’atmosfera, l’acqua e il suolo”.
Possiamo davvero credere nella coesione dell’Unione europea quando vediamo enormi differenze di valori da un Paese all’altro: pensiamo all’Europa dell’Est, alla questione migrazione, ai diritti Lgbt?
“Io ci credo. Ho conosciuto un’Europa diversa, divisa anche dal muro di Berlino, e abbiamo fatto un percorso incredibile. Tutti gli Stati membri hanno firmato il Trattato che esige il rispetto delle minoranze, delle diversità. Quando qualcuno va in un’altra direzione la Commissione e gli Stati hanno il dovere di avvertirlo che sta sbagliando. Se si lascia perdere, allora ci sarà un rischio per la coesione e il futuro dell’Unione Europea. Un’Europa senza valori non è possibile”.
Qual è la sua opinione sull’assenza di una strategia vaccinale europea? Pensa che l’Unione Europea dovrebbe avere competenze sanitarie?
“Prima usciamo dalla pandemia e poi parliamo di competenze. In questo ultimo anno gli Stati membri hanno capito che certe cose si fanno meglio a livello europeo. Penso a quando abbiamo deciso di comprare i vaccini assieme. Sarebbe stato un incubo se gli Stati si fossero messi in concorrenza l’uno con l’altro. Ricordo che attualmente le competenze in ambito sanitario sono nazionali, ma dopo la pandemia sarebbe utile aprire un dibattito su questo tema”.